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26/27 luglio

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26 luglio. Alba. Sveglia un’ora prima delle 6,30 previste. Ho anticipato i trattamenti alle 7 per trovarmi pronto alle 10 per la nostra gita. Torno a Kanyakumari, la punta sud dell’India, dopo tredici anni. In più su mia richiesta visiteremo un palazzo, e poi è prevista una sosta a un tempio indù, che devo avere già visitato, ma stavolta in orario di liturgie. Promessa di una giornata interessante.

Sono sceso verso la spiaggia a vedere l’alba. I pescatori erano già fuori, a lanciare una barca oltre le onde. Uno spettacolo incredibile. Scelta del momento in cui spingere  la prua della barca in mare, quattro o cinque uomini sono a bordo, gli altri in acqua a mantenere lo scafo stretto, lungo, pesante, di legno massello. Il guidatore accende i motori, e al momento giusto dà tutto gas e infila la prua perpendicolare tra i marosi, dirigendosi verso il punto – mobile qual piuma al vento – dove frangono le onde. Un cavallone li mette quasi a candela, li ferma, l’onda che segue li riporta alla spiaggia, con i piedi dei motori nella sabbia. Gli uomini cacciano un paio di lunghe pagaie, uno dei due motori Suzuki 9.9 cv si spegne e viene prontamente riacceso. La barca riparte diritta verso le onde, si ripete la scena, mentre vanno a candela ritirano fuori le pagaie, il mare li riporta indietro ma con entrambi i motori al massimo riesco a scapolare il crinale. Quindi si allontanano spediti verso nord-ovest, per fermarsi a dir tanto un chilometro più in là a calare le reti.

Mi sento connesso con questo posto.

Oggi trattamenti presto, con un diverso terapista, Thiago, poiché è il giorno della gita: andremo a palazzo Padmanabhapuram, dove non sono mai stato, poi a Kanyakumari – la punta sud del subcontinente indiano, che gli inglesi chiamavano Cape Comorin – infine in un famoso tempio indù in cui è in corso di svolgimento un importante rito nel quale i fedeli si presentano con una lanterna, luoghi dove sono stato 13 anni fa.

27 luglio. Ieri bella giornata, unici nei un ristoratore citrullo che mi ha fatto saltare la mosca al naso e il tramonto nuvoloso a Kanyakumari, ma francamente in periodo di monsone sul tramonto non facevo alcun affidamento.

Ho ritrovato il gesto di congiungere le mani, in segno di meditazione, elevazione e rispetto più che di preghiera. Abbiamo meditato a Kanyakumari, bagnato i piedi nelle acque dei tre oceani – ritenute vergini – e presentato i nostri rispetti e gli omaggi rituali al tempio indù, infiltrandoci tra i riti di una specie di candelora annuale. E poi masala dosa.

Stamattina grandi trattamenti, e domani meglio: avrò due maestri invece della consueta accoppiata maestro e allievo.

Finalmente bagno nell’Oceano Indiano, anzi nel Mare Arabico, sorvegliato a vista da un bagnino dall’aspetto pigro, privo di riserva di galleggiamento. Nelle correnti mi ritrovo come Elena, a sperimentare un nuovo ambiente compiendo cento volte gli stessi gesti, per studiarne tutti i movimenti, gli avvallamenti, i cicli, i segni, per capire un mare nuovo.  La mente torna ad altri bagni solitari in altri oceani, l’Atlantico nordamericano a Martha’s Vineyard e a Nantucket quindici anni fa, l’Atlantico del Golfo di Guinea in Costa D’Avorio trenta anni fa, ciascuno coi suoi cavalloni, i suoi gorghi, le sue correnti, le sue bizze. Eppure che bagni liberatori, memorabili, potenti: mica degli ammolli nella brodazza.

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