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La pasticceria del futuro (prossimo)

La pasticceria, la sublime pasticceria, la stanza dei tesori più golosi del palazzo della cucina, gode di grandissima salute, ma andrà riscritta.

Andrà riscritta perché così com’è non è salutare, non è sostenibile, e neppure è economica. 

Farina bianca e zucchero sono due dei quattro “killer bianchi” della nostra era (gli altri due sono sale e latte, pure largamente usati in pasticceria). In aggiunta, la pasticceria si regge sul burro. Una festa di ingredienti ipercalorici, insalubri e dannosi anche per l’ambiente: l’olio di palma, presente in numerosissimi prodotti dolciari di largo consumo, è una delle colossali vanghe con le quali si stanno cancellando le foreste primarie del globo. Ho personalmente attraversato la Malesia peninsulare in pullman, e come nella Via Gluck, là dove c’era la foresta primaria, ora ci sono sterminate piantagioni di palme da olio (la gran parte originariamente di proprietà di compagnie britanniche, poi nazionalizzate) per centinaia e centinaia di chilometri. Gli oranghi hanno ceduto lo scettro ai ratti: l’ho visto con i miei occhi, non sono più riducibile, non mi lascio più abbindolare da campagne, marchietti di qualità e sostenibilità e promesse.

I cibi che fanno male all’ambiente e agli uomini dovranno essere drasticamente ripensati, e la pasticceria, industriale ma anche artigianale, è in cima alla lista.

L’economia capitalista è malata di brevimiranza: fa apparire economicamente virtuoso ciò che genera enormi ricchezza private, mettendo sotto il tappeto i colossali costi ambientali e sociali di quelle che – osservate appena più attentamente – si rivelano mastodontiche speculazioni travestite da industria (alimentare nel caso che qui interessa). È evidente che l’industria dolciaria ha generato colossali fortune, ma cosa si lascia dietro? Che costi avrà la sparizione della foresta primaria, per tutti? 

La pasticceria andrà riscritta, con stevia e yogurt magro (o prodotti simili, dal minor impatto ambientale possibile) in parziale sostituzione di zucchero e burro, con farine diverse, con proporzioni diverse. Non ci vorranno giorni, forse ci vorranno anni o decenni, ma non potranno volerci secoli: è un tempo di cui non disponiamo. E non c’è da preoccuparsi troppo per i magnati del cibo: l’oligopolio della stevia sarà nelle stesse mani di chi oggi controlla lo zucchero, ecc., anzi forse ci guadagneranno ancora di più, anche se non sarebbe male se questo cerchio un giorno si spezzasse.

E non mi invento niente: c’è qualcuno (troppo pochi ma molto buoni) che già lavora in questa direzione, con abilità, intelligenza, passione e lungimiranza. 

Se fossi Ferrero – industriali piemontesi che hanno fama di brava gente – metterei oggi, subito, un gettone sulla casella di un (abbastanza) giovane e noto pasticcere piemontese: Luca Montersino, alfiere della pasticceria alternativa e salutistica, che dal 2004 collabora con professionisti, tra i quali un dietista e nutrizionista, e sostiene che «Non sono i dolci i nemici della salute ma la qualità degli ingredienti e la scarsa attenzione per valori nutrizionali e calorici». È solo una goccia nel mare, ma è la strada giusta: il lavoro di questo pasticcere e di alcuni altri potrà avere nel prossimo futuro molta più influenza di quanto non sia dato immaginare oggi, come è avvenuto per un altro piemontese ancora, Carlin Petrini, che con le sue iniziative ha davvero cambiato il mondo, come nei sogni di Mafalda.

Salute, sostenibilità, economia (per le persone, e non solo di breve periodo): questi i fari che devono illuminare il cammino del comparto alimentare nel terzo millennio, e la pasticceria non può fare eccezione.

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