Alimentazione Cucina Salute Sostenibilità

La nostra tradizione familiare o regionale: riportiamo il cibo su una mappa e su un calendario

La cucina casalinga contemporanea deve fondarsi sui concetti di salute, sostenibilità ed economia. La salute – almeno sul piano teorico – è stata sempre al centro dell’attenzione di cuochi, studiosi e divulgatori; le conoscenze mediche e scientifiche che abbiamo raggiunto in tempi relativamente recenti stringono il cerchio, e riducono gli spazi per il pressappochismo. La sostenibilità è un tema attuale: il numero degli uomini è triplicato nello spazio di un respiro (dagli anni settanta a oggi), il riscaldamento globale è un tema impellente, l’utilizzo delle risorse pure, le nostre lavatrici consumano ventimila litri d’acqua potabile l’anno, per crescere una vacca servono quantità di foraggio (in un mondo ideale) che potrebbero sfamare decine di persone, ecc. L’economia, a maggior ragione dal deflagrare della crisi del 2008, è un tema che tocca tutti.
Uno degli strumenti più utili per meglio orientare la nostra cucina, lo abbiamo – per così dire – in casa. Si tratta di andare a pescare nella propria tradizione familiare o regionale. Dico spesso “compra di stagione e della tua regione”. Pensiamoci: fino agli anni ’50 nelle case degli Italiani non c’era il frigorifero. La spesa era necessariamente di stagione, e con ogni probabilità i cibi venivano dalle campagne circostanti. L’Italia prima del “Boom” – che possiamo pur opinabilmente collocare negli anni dal ‘57 al ’73 – era un paese agricolo. Il primo supermarket ha aperto nel’57 a Milano. I surgelati sono arrivati ancora più tardi.

Questi dati ci aiutano a dire che abbiamo disimparato molto, ma da poco. Le nostre nonne, le nostre zie, per chi ha la fortuna di averle ancora in vita, sicuramente ricordano molte cose che potrebbero esserci utili. Piatti legati alle ricorrenze, alle stagioni. L’attesa di un ingrediente. I menù stagionali. La collettività che si nutriva nello stesso periodo delle stesse pietanze. I menù settimanali. Quindi dico: chiedete, chiediamo, intervistiamo, e facciamoci tramite tra le vecchie e le nuove generazioni di quel patrimonio di conoscenze. Altrimenti cerchiamo, studiamo. Ci sono i marchi Doc, Igt, Dop, Igp; ci sono i presidi Slow Food; ci sono gli elenchi del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali degli Alimenti Agroalimentari Tradizionali, ecc. E cerchiamo, in uno o nell’altro modo, per tramite del nostro patrimonio familiare (più divertente!) o attraverso ricerche mirate, di riconnetterci con il nostro territorio e con la sua tradizione.

Possiamo stare certi che il pollo che cucinava la nostra bisnonna era molto più buono di quello che troviamo al supermercato. E che quando cucinava il bollito, lo faceva col pezzo di carne più giusto ed economico. E che quando metteva sul tavolo una verdura, era di stagione e con ogni probabilità era stata prodotta nel raggio di 50km. Niente fragole, pomodori e rucola a gennaio, per intenderci. E non è questione di idealizzare il passato o di immaginarlo come una specie di età dell’oro. Sono ben contento di essere nato quando e dove sono nato. Il punto è che il buono che c’era nel nostro recente passato contadino non andrebbe perduto. E che di mangiare pere che hanno attraversato l’Atlantico per finire sulla mia tavola non mi interessa e non mi sembra etico. Se non vogliamo farlo per noi stessi, immaginiamo di farlo per il mondo e per i nostri figli: deglobalizziamo almeno il cibo, e riportiamolo su una mappa e su un calendario.

You Might Also Like

No Comments

Rispondi