16 luglio, ore 7. Sono il primo alla meditazione. Notte direi buona, a parte la mail di Mauro Vaglio alle 5,08. Ho capito quanto sia preziosa la zanzariera a baldacchino: di notte il bagno si riempie di robuste formiche volanti che poi spariscono durante il giorno. Ecco il mio ottimismo: il giorno per me viene dopo la notte e non viceversa. Suoni di animali: corvi, pavoni, altri esseri molto ululanti assenti dall’Urbe. Frattanto il mare scroscia, e scroscia, e scroscia. Una serie di scoppi (Tow! Tow! To-Tow!), poi lo scoscio vero e proprio, prolungato, forte, un’esplosione (Ka-Pow!), ancora scroscio, e daccapo.
Durante la meditazione, vogliosi pavoni battagliano sul tetto di foglie di palma intrecciate.
A colazione un ragazzino siede in un quadro, tovaglia viola e runner arancio, piatti bianchi, sedili blu e schienali arancio, una madre ancora giovane a tavola con lui, cibi esotici freschi e sullo sfondo la spiaggia, i frangenti, i pescatori, un nugolo di aironi bianchi sul bagnasciuga a far le veci dei nostri gabbiani attorno ai pescatori che in massa, variopinti, issano le reti con gran vociare, mentre uno stormo di falconidi volteggia sulle loro teste. Prato inglese, palme e fiori tropicali circondano la piscina subito sotto il ristorante e sopra la spiaggia. Il ragazzino mangia tutto storto, con un gomito appoggiato su una gamba e la faccia infilata nella ciotola sul tavolo. Una ragazzina in sari, stupenda, che pure potrebbe fargli da madre, si cura del servizio e del decoro della tavola. Lui non la guarda, poi prende il telefonino e finalmente gli si illumina il viso, fa quel sorriso dolcissimo che nessuna delle meraviglie del quadro in cui nuota era riuscito a strappargli, e mostra trionfante lo schermo alla madre.
Song to the Siren.
Trattamenti. Oggi powder massage, doccia, oil massage, poi applicazione di un impiastro, doccia, steam bath in una specie di bara matrimoniale con due sportelli e un buco per la testa che non sfigurerebbe in un romanzo gotico ottocentesco. La costante nei trattamenti ayurvedici è l’uso di sostanze calde – polveri di erbe, oli, balsami vari – e l’applicazione da parte di due terapisti. A volta durante il massaggio le quattro mani sembrano una, colossale. Lo slimming program è quello che prevede i trattamenti più lunghi, due ore e mezza abbondanti. Promiscuità zero, gli uomini vengono trattati da uomini e le donne da donne.
Anche se qui siamo in una enclave ideale che sembra separata dall’esterno da uno scudo di energia degno di Star Wars, l’India passa, permea, si fa strada da ogni fessura, reclama il suo spazio, entra in ogni respiro.
Sto sperimentando l’India degli odori e dei sapori. L’ultima volta che sono stato qui fumavo 20 sigarette al giorno. Ora non più, e qui niente alcolici, né televisione, né internet sempre in funzione. Se ho il viso spesso rivolto allo schermo come il ragazzino di stamattina, quasi sempre è per prendere questi appunti. Quanti appunti di viaggio presi, nel tempo e poi perduti. Rifletto che pubblicarli sul sito sarà anche un po’ un modo di metterli al sicuro.
Lenticchie, camomilla, limone, cetrioli, yogurt, alcuni altri aromi familiari che sto cercando di isolare. I sapori noti provengono qui spesso da elementi ignoti. Ad esempio stamattina nel ghee medicamentoso ho trovato del pomodoro bruciato.
Certo, mangio molto poco: una zuppa, un po’ di riso, un po’ di chutney, due contornini in provetta. Ma onestamente fame non ne ho. Mi secca non poter assaggiare tutte le meraviglie della Cucina del Kerala, e qui sono molto bravi. C’è un lungo buffet ma è presidiato da vari addetti informati della mia dieta. Se voglio provare il colpaccio, mi tocca forzare le cucine, altrimenti resta solo la rapa a mano armata. Ma ho attraversato il mondo per perdere peso, quindi intendo fare tutto quanto in mio potere per raggiungere il mio obiettivo. E poi ci sto prendendo un certo gusto, a questa grande astinenza, quasi una sorta di ascesi. Anche per via del palato: un po’ mi sembra di avere portato lo Stradivari a Cremona a rifarsi il trucco.
Ore 17, yoga con Dipu e due signore molto abili, al tramonto, affacciati sul mare ruggente. I cavalloni sono diventati montagne, falchi e aironi e pavoni vigilano su di noi. Sono come sempre lo studente indisciplinato, un “absolute beginner” nella definizione di Dipu, ma arrivo in fondo senza disturbare troppo, e mi becco pure qualche complimento dal maestro. In realtà credo che il paio di mesi di yoga domestico praticati con un po’ di testardaggine l’anno passato mi abbiano in qualche modo facilitato. Coglierò l’occasione.
Un momento di fame, un melograno, fame finita. Musica, Annie Lennox, Joe Bonamassa & Beth Hart, Tim Buckley, Madrugada.
Stasera cena miserrima, ma almeno non ho fame.
A tavola, Gowin the Magician fa uno spettacolino di magia personale per ciascun ospite, girando tra i tavoli.
Mi sta piacendo stare nudo per alcune ore al giorno – a letto, durante i trattamenti e le numerose docce – il che a Roma capita raramente, al netto del tempo passato in doccia e dei momenti destinati all’amore. Mi piace il contatto col suolo, che considero un regalo di Elena e qui della pratica di meditazione e yoga. Non mi piace guardare il mio corpo allo specchio. Neppure so come sia arrivato a fare questo alla mia vera casa sul pianeta azzurro, ma soltanto che l’origine di questa disavventura si perde lontano nel tempo. Le sue macerie invece sono tutte qui. In questo senso sono stato un vero capitalista, ho utilizzato il mio futuro come una discarica. Ora mi toccherebbe una disciplina di cui mi sento capace solo per brevi tratti, che riesco a praticare in questo mondo a parte ma non nel mio.
Pizzerie al taglio? Cinque nella sola via sotto casa. Bar gastronomie? Non li conto neppure. Pasticcerie? Cinque in cinquecento metri. Pasta fresca, due. Supermercati, cinque, più quello biologico. Ristoranti più di dieci. Luoghi dove consumare un assurdo aperitivo, altrettanti. Fast food, che pratico pochino, ne abbiamo di americani, turchi e cinesi. E vinerie, birrerie, pescherie, macellerie, mercati. C’è un’offerta di cibo che mette paura, e che per chi ha problemi di alimentazione è una continua prova. Ho timore dell’effetto San Patrignano: finché li tieni dentro, con grandi sforzi fanno i bravi, quando escono, sono a rischio ricaduta. Ma non vorrei che l’India fosse la mia San Patrignano: semmai la mia San Gennaro.
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